Anche lungo l’Adda i traslochi e la scadenza delle affittanze datavano al giorno di san Martino, cui è ancora votata una cappella a nord di Trezzo. In tre articoli successivi, che qui raccogliamo in unica lettura, Luigi Minuti conduce una riflessione storica, economica e devozionale sulla figura del santo cui il calendario dedica l’11 novembre. Tre volte sindaco di Treviglio, cultore di storia non solo locale, Luigi è autore di trenta pubblicazioni che indagano specie le vicende economiche e spirituali della Gera d’Adda. L’Ecomuseo “Adda di Leonardo” si onora si ospitare questo trittico a sua firma.
‘San Martino’ ma non più solo dei contadini …
‘San Martino’ veniva definito un tempo l’atto del trasloco della famiglia contadina da una cascina all’altra, anche di un altro paese o di un’altra provincia, che si svolgeva giusto il giorno dedicato dalla Chiesa alla memoria del grande santo vescovo di Tours, che coincideva con la definitiva conclusione dell’annata agraria di modo che, regolati i conti della produzione e col riposo dei campi, si poteva effettuare il trasloco senza difficoltà salvo i patemi d’animo connessi all’interruzione dei rapporti umani che in cascina, si sa, valevano più di quelli patrimoniali.
Il clima di quei trasferimenti variava, dal festoso al drammatico, a seconda se ci si trasferiva di propria volontà o per scadenza del contratto novennale, oppure, come magistralmente ‘raccontato’ nel film ‘L’Albero degli Zoccoli’ per la traumatica interruzione disposta punitivamente dal padrone (in quel caso per furto di ceppi di rovere) per i mille e più motivi che poteva avere, essendo lui l’anello forte e il fittavolo l’anello debole della catena in una società non ancora paritaria nei diritti.
Il motto “fare san Martino” si è esteso anche ai contratti civili e ai relativi traslochi, mentre girando per un altro verso la ruota della storia, nel mondo contadino il fare ‘san Martino’ è divenuto sempre più raro per effetto della straordinaria e legale rivoluzione, maturata dal secondo dopoguerra, per la quale, la gran parte dei contadini è potuta divenire proprietaria dei terreni condotti che ora vengono abbandonati solo quando non è più il caso di rimanervi perché economicamente non ne vale più la pena, ma questa è congiuntura di oggi.
Milano, Basilica di san Lorenzo Maggiore, “La carità divina e quella umana”, affresco parietale (Foto Luigi Minuti)
A guardarsi bene intorno, la società contemporanea è tutta un grande ‘fare san Martino’, da una parte la troppo frequente, drammatica, mobilità indotta dalla crisi delle famiglie nelle quali l’unione non è più per sempre, dall’altro quella indotta dalla crisi dell’economia, quando, avendo fatto un passo più lungo della gamba, comprando casa, anziché accedere prudentemente all’affitto, al venire meno del reddito si apre la altrettanto drammatica prospettiva della perdita della casa stessa, del trasloco per forza e di tante altre implicazioni di cui è stato buon testimone, spesso causa, lo stesso sistema creditizio.
Non parliamo del trasloco nel commercio, una volta i negozi si trasmettevano di generazione in generazione, oggi per quella fetta rimasta percentualmente intatta (a differenza di quanto avvenuto nel mondo contadino) gravata dall’affitto, spesso esorbitante, venuto meno il bifido soccorso dell’inflazione e del recupero dei costi attraverso il rialzo dei prezzi, soccombente di fronte ai grandi numeri degli Iper e del commercio elettronico, registra un’alta percentuale di abbandoni nel primo biennio di contratto, anche qui, con traumi finanziari ma soprattutto umani.
Infine il ‘san Martino’ umanamente più tragico, che pensavamo appartenere solo al passato quasi remoto, quello dei singoli, dei migranti, col seguito di pochissime cose o di niente, senza meta sicura, provenienti da tanti paesi, fuggitivi per guerra, per fame, ma anche per vigliaccheria o per convenienza propria o di coloro che li assumono in cattività, di certo per mancanza di radici, valore che nell’universo mondo ha cessato di essere tale, che avrebbe dovuto sopravvivere quale contraltare della mondializzazione dell’economia ma che così non è stato.
San Martino di Tours, la storia e la leggenda
In questo secondo articolo focalizziamo l’attenzione sulla figura storica di san Martino (316-397), un migrante del IV secolo, che viene definito come ‘un ponte ideale attraverso l’Europa tra la Francia e l’Ungheria, luogo dove il santo nacque’. San Martino è uno dei santi più popolari e amati, in particolare nelle campagne, per la sua umiltà e la sua generosità.
Numerosissime sono le chiese a lui dedicate e la sua immagine più famigliare è quella che lo ritrae in atto di dividere il mantello col povero. La troviamo, non a caso, molto spesso lungo le vie di pellegrinaggio, perché il povero venne presto identificato col pellegrino, figura di Cristo, sulla scorta delle parole pronunciate da Gesù quando parla del giudizio finale: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).
Calcinate, Oratorio di san Martino, affresco del XV secolo (Foto di Maurizio Ferrandi)
Martino nacque in Pannonia, l’attuale Ungheria, da un ufficiale dell’esercito assai ligio che lo dedicò a Marte dio della guerra; quando era ancora bambino il padre fu destinato a Pavia, e qui il ragazzo conobbe il cristianesimo e divenne catecumeno, con grave disapprovazione del padre, che per distoglierlo lo avviò precocemente alla carriera militare, a 15 anni.
L’episodio del mantello si colloca verso i 21-22 anni di Martino. Durante una ronda di una fredda e nebbiosa notte degli inizi di novembre, nei pressi di Amiens, gli si presentò un povero seminudo: Martino non aveva denaro, e condivise con lui il suo mantello; il povero gli riapparve in sogno la notte seguente, e rivelò di essere Gesù, elogiandolo per averlo soccorso prima ancora di aver ricevuto il battesimo – su questo episodio si innesta la leggenda popolare dell’Estate di san Martino poiché subito dopo la spartizione del mantello il tempo da rigido che era si mise a far bello, come fosse estate.
Martino fu battezzato l’anno dopo e poté congedarsi solo nel 354, sotto l’imperatore Costanzo II° (337-361) ed il cesare Giuliano l’Apostata. Si ritirò a Poitiers presso sant’Ilario, che lasciò solo per tornare in Pannonia, dove convertì la madre; tornato a Poitiers fu autorizzato dal vescovo a evangelizzare le campagne vivendo da eremita. Si stabilì a Ligugé, che è così il primo monastero di Francia e d’Europa. Era a quel tempo forte l’eco dei grandi monaci anacoreti Antonio e Ilarione.
Soncino, località Tinazzo, santa Maria della Neve – san Martino e sant’Ambrogio (Foto di Maurizio Ferrandi)
Nel 371 i cristiani di Tours lo acclamarono vescovo. Desideroso di sfuggire alla nomina, si rifugiò in campagna, nascondendosi in mezzo a un branco di oche, che però svelarono col loro schiamazzo la sua presenza, così che Martino non poté evitare l’elezione. Per questo nella sua iconografia compare una robusta oca. Da vescovo percorse instancabilmente le campagne dei cui abitanti conosceva le necessità, operando la cristianizzazione di una regione ancora, più che romana, celtica in usi e religione; inaugurò l’uso delle visite pastorali; fondò a Marmoutier il primo centro di formazione per il clero.
Di lui si racconta che con un bacio guarì un lebbroso alle porte di Parigi; una volta volle abbattere un pino sacro per i pagani, e per dimostrare l’infondatezza del suo culto si pose sulla traiettoria della caduta, e con un segno di croce lo fece precipitare dalla parte opposta. Mentre si recava in pellegrinaggio a Roma insieme al vescovo Massimino, un orso divorò l’asino che portava i bagagli: ma Martino caricò di pesi la belva, che li servì fino a Roma.
Durante una visita pastorale, sentì avvicinarsi la morte e vi si predispose stendendosi su una tavola cosparsa di cenere, e restando in preghiera. Morì l’8 novembre, ma è festeggiato l’11, giorno del trasporto a Tours, dove il suo amico sant’Ambrogio, peraltro pre-morto, con un fenomeno di bilocazione, secondo una leggenda, fu presente alle sue esequie solenni. Tours da allora divenne nel medioevo una grande meta di pellegrinaggi, e un capotesta per quanti andavano e vanno a Santiago di Compostela.
Basilica di Treviglio, Vita di san Martino, opera di Giovanni Stefano Doneda detto il Montalto, pittore trevigliese del XVIII secolo
San Martino è patrono dei mendicanti e dei sinistrati, e inoltre di soldati e di quanti vanno a cavallo per il suo servizio militare, dei sarti e dei pellicciai perché diede al mendico la pelliccia del suo mantello, dei conciatori di pelli e lavoratori del cuoio per via della cintura cui era appesa la sua spada e perché era così umile da ingrassare da sé, quando era militare, la sua uniforme; dei venditori di stoffe per il suo mantello; poiché una volta cambiò l’acqua in vino è patrono degli osti, dei ceramisti, che fanno le brocche, dei bevitori e anche degli ubriachi.
Il patronato verso i viticultori e i vendemmiatori si motiva anche per la stagione della sua festa e perché in tale data in più luoghi si beve il vino nuovo e si mangiano le caldarroste. Come cavaliere è patrono dei cavalli, e protegge anche le oche che lo fecero trovare dai fedeli.
Il culto di san Martino nel Bergamasco ed in Valle Camonica
La Chiesa bergamasca ha promosso non appena è stato consentito dalle norme canoniche il culto dei santi, In particolare quello dei Martiri della persecuzione dell’imperatore d’Occidente, Massimiano Erculeo, residente nel palazzo imperiale di Milano. Oltre ai patroni Fermo e Rustico spiccano i soldati della Legione Tebea, Alessandro, assunto quale compatrono della Diocesi e poi Vittore scampati a Milano e poi martirizzati, secondo tradizione, di qua dell’Adda in terra Orobica.
Statue di san Martino e il povero, età tardo longobarda, museo civico di Treviglio
Durante il dominio longobardo in specie dopo la piena conversione dall’arianesimo molte chiese vennero dedicate ai due principali santi venerati da quel popolo: san Michele Arcangelo, capo delle milizie celesti, e san Giorgio (275-303), soldato del tempo di Diocleziano. A san Michele sono state dedicate le parrocchiali di Antegnate, Arcene, Bedulita, Bonate Sotto, Chiuduno, Mapello, Pontirolo Nuovo, Sabbio, Solza, Tavernola, Teveno e Torre de Busi; a san Giorgio quelle di Almenno, Ardesio, Boltiere, Ceretello, Credaro, Endine, Fiorano, Gazzaniga, Nese, Pontida, Treviolo, Valnegra, Vilmaggiore e Zandobbio.
Durante il dominio franco e nell’immediato successivo periodo del Sacro Romano Impero, vi fu una proliferazione di dedicazioni a san Martino di Tours come a: Alzano, Adrara san Martino, Bolgare, Calolziocorte, Carvico, Cenate san Martino, Ciserano, Entratico, Fondra, Gandellino, Gorno, Lenna, Lovere. Moio de’ Calvi, Nembro, Olmo, Piazzolo, Piazzatorre, Piazza Brembana, Pradalunga, San Martino oltre la Goggia, Sarnico, Sovere, Torre Boldone, Treviglio, Vigano san Martino.
Mentre si accertano anche due casi di coabitazioni tra tradizione longobarda e tradizione franca con la attribuzione di un doppio patronato a Leffe (san Michele e san Martino) e a Lovere (san Giorgio e san Martino).
Cerveno, Santuario della Via Crucis, san Martino (Foto Luigi Minuti)
Bortolo Belotti nella sua: “Storia di Bergamo e dei Bergamaschi” (Ed. B.P.B. 1988 – Vol. 3, pag. 203) ci riferisce che nella Bergamo medioevale portava il nome di san Martino una delle 18 vicinie suburbane che erano appunto: “Borgo Canale, Castagneta, Fontana, Lavanderio, Longuelo, S. Stefano, S. Alessandro in Colonna, S. Alessandro della Croce, S. Antonio intus et foris, S. Caterina, S. Giovanni dell’Ospedale, S. Grata inter vites, S. Martino, S. Matteo, S. Sebastiano, Sudorno, S. Vigilio e Valle d’Astino”.
L’intera Valle bergamasca che confina (ora in parte inglobata) con il territorio di Lecco è denominata Valle san Martino per la storica capillare presenza di luoghi di culto dedicati al santo Vescovo di Tours, mentre ad oriente il territorio di Valle Camonica è costellato a sua volta non solo di testimonianze martiniane ma di connesse antiche memorie che collegano il nostro santo all’’imperatore franco Carlo Magno che in verità, dopo aver donato (con atto emanato in Pavia il 17 agosto dell’anno 774) Gandellino ed il suo territorio ai Canonici del Monastero di Tours, altrettanto fece in abbondanza in quella Valle. Donazioni peraltro rimaste efficaci per molti secoli.
Da rilevare che con atto di permuta fra i Canonici di san Martino di Tours ed il Vescovo di Bergamo, a cavallo tra primo e secondo millennio, la porzione dei beni a suo tempo donati da Carlo Magno, posti nelle valli Seriana, di Scalve e Camonica, al di qua dell’Oglio, venivano infeudati a quest’ultimo; lo status giuridico risultante dalla permuta fu oggetto di accertamento nel placito tenuto a Grumello dal conte Arduino II nel’anno 1026 (Lupo 5, 535 s. – Belotti I, 371).
Una medioevale leggenda di Borno, dove peraltro san Martino è patrono assai venerato, racconta che proprio lì: san Martino, di ritorno dalla dura battaglia, col suo cavallo ferito e stanco, satana incontrò: “l’anima tua e dei viandanti mi prenderò se con quel cavallo saltare non saprai la stretta valle”. san Martino, da Dio ispirato e per punir satana, spiccò il salto e sull’altro ciglio si trovò. A sua volta il diavolo vi tentò e nel profondo orrido precipitò.
A testimone della singolar tenzone la valle di qui, del diavolo, si chiamò, e le impronte dei tre zoccoli lasciate sulla roccia dal fido destriero di san Martino, cancellate furono, non senza rimpianto, dalle mine di padre Crispino da Treviglio, cappuccino, per far passare la strada che ora alla SS. Annunciata più comodamente porta”.
Luigi Minuti
lminuti@libero.it
In copertina: San Martino, Polittico di Treviglio, Bernardino Buttinone e Bernardo Zenale, 1486 (Foto Maurizio Ferrandi)
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